L’oggetto del provvedimento secondo la giurisprudenza amministrativa più recente

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    L’oggetto del provvedimento secondo la giurisprudenza amministrativa

    La vicenda processuale che andremo ad analizzare concerne, in larga misura, l’individuazione degli elementi costituivi del provvedimento amministrativo, e tra questi in particolare, dell’oggetto e dei casi in cui la sua assenza possa inficiare la validità e l’efficacia del provvedimento cui appartiene rendendolo nullo.

    Il tema ha costituito e tutt’oggi costituisce grande argomento di dibattito, in dottrina e in giurisprudenza, soprattutto per quanto concerne le conseguenze patologiche dovute all’assenza di uno degli elementi essenziali del provvedimento amministrativo.

    Vedremo come pensiero dottrinale e orientamento giurisprudenziale si troveranno ancora una volta su filoni contrapposti per dirimere un dubbi che neanche la disciplina contenuta nell’articolo 21 septies della legge 241/1990 è riuscita a sanare, dal momento che il legislatore attraverso il suddetto articolo si è limitato a citare “gli elementi essenziali” dell’atto solo in funzione sanzionatoria, cioè solo con la finalità di individuare le ipotesi di nullità dovute all’assenza di uno o più di essi.

     

    La visione giurisprudenziale: l’approccio privatistico

    La giurisprudenza amministrativa si è limitata, per lungo tempo, ad accertare la sussistenza o meno, in riferimento alla fattispecie concreta, degli elementi essenziali del provvedimento adagiandosi e prendendo per buone le teorie privatistiche sui requisiti del contratto di diritto privato.

    Tenuto conto dell’assenza di una esplicita indicazione legislativa volta a dare una definizione degli elementi essenziali del provvedimento, la giurisprudenza amministrativa sviluppò una lettura interpretativa modellata sulle nozioni sostanziali di matrice civilistica, concernenti il contratto e il negozio giuridico.

    Sul punto, una risalente pronuncia del Consiglio di Stato (Sez. V, 19 settembre 2008, n. 4522) ha affermato che

    «in assenza di una esplicita indicazione legislativa degli elementi essenziali del provvedimento, è possibile sviluppare una lettura interpretativa della disposizione, modellata sulle nozioni sostanziali di derivazione civilistica, concernenti il contratto e il negozio giuridico. In questa prospettiva, quindi, è corretta l’impostazione secondo cui l’oggetto del provvedimento costituisce uno degli elementi essenziali dell’atto e la sua eventuale mancanza determina la nullità del provvedimento. Peraltro, nemmeno l’oggetto del provvedimento amministrativo è esplicitamente definito dalla legge. Anche nella prospettiva civilistica, poi, la categoria generale dell’oggetto del contratto non è precisata in sede legislativa e, in via interpretativa, essa è delineata secondo prospettive teoriche molto diverse. Senza analizzare, nel dettaglio, le varie tesi prospettate, risulta preferibile l’opinione, seguita dalla giurisprudenza prevalente, secondo cui l’oggetto indica la porzione di realtà giuridica e materiale su cui l’atto è destinato ad incidere».

    Il vincolo di scopo: crocevia tra potere amministrativo e potere di autonomia privata

    Pur volendo adottare la visione manifestata dal Collegio nella menzionata pronuncia del 2008, secondo cui “l’oggetto indica la porzione di realtà giuridica e materiale su cui l’atto è destinato ad incidere”, non si può prescindere dalla funzione che viene riconosciuta all’oggetto in quanto elemento essenziale del provvedimento e che indubbiamente segna il crocevia tra il potere amministrativo e il potere di autonomia privata. Infatti:

    • il potere amministrativo è finalizzato al perseguimento dello specifico interesse pubblico giustificativo dell’attribuzione del potere, attraverso l’emanazione di provvedimenti idonei ad incidere nella sfera giuridica di soggetti giuridici diversi dal soggetto agente;
    • il potere di autonomia privata è espressione della volontà del titolare del potere stesso, il quale lo esercita per il soddisfacimento di interessi propri attraverso il compimento di atti idonei a produrre effetti giuridici esclusivamente nella sfera giuridica dei soggetti titolari del rapporto giuridico di cui sono parti.

    La presenza dell’interesse pubblico costituisce il criterio di orientamento da seguire per l’individuazione degli elementi costitutivi di un atto amministrativo come il provvedimento.

     

    Il pensiero dottrinale: il criterio qualificativo dell’azione amministrativa è l’orientamento al risultato

    Proprio in ragione del carattere pubblicistico che caratterizza l’interesse perseguito attraverso l’adozione del provvedimento amministrativo, la dottrina più recente, in totale disappunto con l’orientamento giurisprudenziale, ha avvalorato la tendenza dell’ordinamento giuridico italiano a utilizzare “l’orientamento al risultato” come criterio qualificativo dell’azione amministrativa.

    Questa visione è la medesima che è stata poi adottata dal Consiglio di Stato nella vicenda processuale che andremo a trattare.

    La logica dell’orientamento al risultato propone di abbandonare la nozione statica di oggetto, inteso come mera entità materiale del mondo reale e avulsa dal contesto spazio-temporale in cui il provvedimento è destinato a esplicare i suoi effetti, per abbracciare una nozione dinamica di oggetto, identificandolo attraverso la realizzazione nella realtà storica degli obiettivi prefigurati attraverso l’adozione del provvedimento amministrativo.

    In questa prospettiva, l’oggetto, in coerenza ad un modello di azione amministrativo volto al raggiungimento di fini pubblici preordinati, viene ad essere inteso in senso “funzionale”, in una prospettiva di realizzazione del risultato che la decisione amministrativa intende realizzare.

    L’idoneità al raggiungimento del risultato preordinato ex lege è una qualità dell’oggetto provvedimentale da reputarsi essenziale anche ai fini di una corretta identificazione dell’oggetto materiale, individuato come elemento identificativo della fattispecie concreta.

    L’assenza di questo requisito giuridico dell’oggetto non determina l’inesistenza della fattispecie giuridica ma ne inficia la validità del provvedimento.

    In questa prospettiva si colloca la stessa legge n. 241/1990, essendo testo normativo di portata innovativa contenendo una disciplina sull’attività amministrativa considerata in relazione alla sua finalizzazione ad un risultato.

    L’oggetto del provvedimento amministrativo diviene elemento di garanzia per la concretezza dell’azione amministrativa

    In questa dimensione dinamica l’oggetto del provvedimento manifesta il suo essere elemento propedeutico all’adozione di un atto amministrativo in relazione alla concretizzazione degli interessi ad esso sottesi.

    Dal momento che il risultato del potere amministrativo si concretizza nel mondo reale attraverso le conseguenze materiali prodotte dall’atto amministrativo, l’oggetto rappresenta forse l’unico tra gli elementi strutturali ad essere idoneo a rappresentare il nesso tra realtà normativa e realtà fenomenica attraverso l’effettivo soddisfacimento delle esigenze di tutela dell’interesse pubblico.

    Come noto, però, l’interesse pubblico non è astrattamente individuabile dal legislatore, ma è invece l’esito di un’attività di ponderazione e comparazione degli interessi in gioco che l’autorità amministrativa, di volta in volta, compie in occasione dei singoli episodi di concreto esercizio del potere amministrativo.

    In questa prospettiva, l’oggetto del provvedimento rappresenta la proiezione prospettica del complesso delle conseguenze derivanti dall’attuazione della decisione amministrativa cristallizzata nel dispositivo provvedimentale.

     

    Le conseguenze patologiche del provvedimento amministrativo privo di oggetto

    La configurazione dell’oggetto come elemento costitutivo del provvedimento amministrativo non rimane circoscritta solo sul piano strutturale, ma assume un’enorme importanza anche sul piano delle conseguenze patologiche che potrebbero derivare dalla sua assenza, soprattutto ai fini dell’applicabilità della disciplina di cui all’art. 21-septies della legge n. 241/1990, sulla nullità dell’atto per “mancanza degli elementi essenziali”.

    In una recente sentenza del Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. II, 23 ottobre 2020, n. 6436) , i giudici di Palazzo Spada hanno affermato:

    «la patologia della nullità del provvedimento amministrativo, che risiede “nell’inconfigurabilità della fattispecie concreta rispetto a quella astratta”, postula “una sua agevole conoscibilità in concreto, attraverso un mero riscontro estrinseco del deficit dell’atto rispetto al suo paradigma legale”.

    Un tale riscontro comporta un’attenta distinzione tra i requisiti strutturali (pur in assenza di una loro codificazione legale) e i requisiti di legittimità dell’atto».

    In tal senso di contrappongono due filoni interpretativi:

    1. la giurisprudenza tradizionale, sempre orientata all’approccio privatistico, sulla scia dell’art. 1346 c.c. in tema di requisiti del contratto, si è sempre mostrata incline a riconoscere la nullità del provvedimento per assenza dell’oggetto soltanto quando:
    • esso non esista nella sua materialità;
    • l’oggetto manchi dei requisiti che lo contraddistinguono alla luce della disciplina civilistica, ovvero la possibilità, la determinatezza e la determinabilità;

    2. la dottrina più recente, assai lontana dal filone privatistico, riconosce la nullità del provvedimento:

    • nelle ipotesi di assoluta mancanza degli elementi essenziali e strutturali;
    • nella circostanza in cui l’elemento costitutivo sia privo di un suo requisito.

    Appare sufficiente rilevare che, tenendo conto che l’idoneità al conseguimento di risultati concreti costituisce un requisito essenziale dell’oggetto provvedimentale, non può che riconoscersi che la mancanza di esso infici la validità del provvedimento amministrativo.

    La vicenda processuale: Consiglio di Stato, Sezione Sesta, 27 settembre 2023 n. 8547

    Oggetto della controversia è la sanatoria di un manufatto adibito ad attività industriale/artigianale realizzato su un’area attraversata dalla rete fognaria cittadina di un Comune.

    Il condono, rilasciato dal Comune con provvedimento n. 01 del 04 gennaio 2017, ai sensi della legge n. 47 del 1985, in favore della “Società 1 s.r.l.” veniva impugnato dall’amministratore di condominio confinante con il fondo di titolarità della “Società 1 s.r.l.” e, successivamente annullato con sentenza n. 1806 del 01 aprile 2019 del Tar per la Campania, a causa dell’acclarato difetto di attività istruttoria avviata dall’Ente locale prima del rilascio del titolo al fine di valutare la compatibilità del manufatto condonato con l’attraversamento fognario presente nell’area su cui esso insiste.

    Avverso la suddetta sentenza n. 1806/2019, in quanto pretermessa dal giudizio, proponeva ricorso in opposizione di terzo la “Società 2 S.r.l.”, subentrata nella titolarità del manufatto per effetto di atto di compravendita trascritto il 16 febbraio 2017, lamentando che dall’annullamento del provvedimento di sanatoria, sarebbero derivanti ingenti danni per lesione dell’affidamento ingenerato dal provvedimento di concessione edilizia, poi annullato.

    Il Tar Campania, all’esito dell’istruttoria condotta durante il giudizio di opposizione di terzo, respingeva l’impugnazione della “Società 1 S.r.l.”, confermando il medesimo vizio di difetto di istruttoria, già rilevato nella precedente pronuncia.

    Contro tale sentenza, la “Società 1 S.r.l.” spiegava appello dinanzi il Consiglio di Stato.

    Nel 2021, dunque nelle more dei suddetti giudizi, il Comune annullava in autotutela il permesso a costruire in sanatoria con atto n. 01/2017; tuttavia, concretamente, questo permesso era già stato oggetto di annullamento per effetto della sentenza n. 1806/2019. Dunque, trattasi di un atto a tutti gli effetti nullo.

    La “Società 1 s.r.l.” proponeva ricorso per l’annullamento del provvedimento nel frattempo emesso dal Settore Urbanistica, il cui giudizio veniva definito dal Tar per la Campania con sentenza n. 7176 del 02 novembre 2022.

    Il Tar dichiarava la nullità del provvedimento di annullamento di autotutela del Comune.

    Il Consiglio di Stato veniva dunque adito dunque per le suddette questioni.

    La decisione del Consiglio di Stato

    Il Collegio rigettava il ricorso in quanto, secondo la Sesta Sezione, si trattava di un ricorso proposto contro un atto nullo per mancanza di uno dei requisiti essenziali: l’oggetto.

    In particolare, non riteneva i motivi di appello idonei ad inficiare le conclusioni raggiunte dalla sentenza del Tar Campania n. 7176/2022.

    I giudici hanno rilevato come in grado di appello non fosse più rinvenibile l’interesse dell’appellante a coltivare il ricorso principale, proposto in primo grado, avverso il provvedimento del Comune n. 3555/2021 con il quale era stato annullato in autotutela il permesso di costruire in sanatoria n. 01/2017, poiché quest’ultimo era già stato oggetto di annullamento con la sentenza n. 1806/2019.

     

    Conclusioni

    La pronuncia che abbiamo analizzato, respingendo la tesi negoziale del provvedimento amministrativo, si colloca nel solco di quel rinnovato orientamento giurisprudenziale che tenta di superare l’idea statica di oggetto provvedimentale, inteso come “entità del mondo materiale su cui incidono gli effetti prodotti dalla decisione amministrativa”, per approdare ad una rappresentazione prospettica del complesso delle conseguenze che l’atto amministrativo è idoneo potenzialmente a produrre nel mondo reale.

    I giudici, chiamati a decidere su una controversia avente ad oggetto un provvedimento amministrativo già annullato in precedenza in sede giurisdizionale, sono giunti alla seguente conclusione:

    l’oggetto del provvedimento di annullamento in autotutela è costituito dal provvedimento da annullare, ma se questo è già stato annullato in precedenza in sede giurisdizionale, il provvedimento di autotutela è, conseguentemente, privo di oggetto, ovvero privo di un suo elemento essenziale e, pertanto, nullo ai sensi dell’art. 21-septies della legge 241/1990.

    Secondo quanto ritenuto dalla Sesta Sezione, ci si trova davanti ad un ricorso in appello proposto contro un atto nullo per mancanza di uno dei requisiti essenziali: l’oggetto.

    Come hanno inteso sottolineare, infatti:

    Il provvedimento in discussione deve considerarsi, pertanto, nullo ai sensi dell’art. 21-septies della legge n. 241/1990 per mancanza dell’oggetto, non potendosi annullare un provvedimento già rimosso giudizialmente dal mondo giuridico e che, di conseguenza, non avrebbe alcun riflesso sul mondo reale in quanto inidoneo a produrre alcun effetto-risultato.

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